(Nome ufficiale: Zhonghua Renmin Gongheguo, Repubblica Popolare Cinese), paese dell’Asia orientale, il più popoloso del mondo e il terzo per estensione. È delimitato a nord dalla Mongolia e dalla Russia; a nord-est dalla Russia e dalla Corea del Nord; a est dal mar Giallo e dal mar Cinese orientale; a sud dal mar Cinese meridionale, dal Vietnam, dal Laos, dal Myanmar, dall’India, dal Bhutan e dal Nepal; a ovest dal Pakistan, dall’Afghanistan e dal Tagikistan; a nord-ovest dal Kirghizistan e dal Kazakistan. Il continente comprende più di 3400 isole, la più importante delle quali, Hainan Dao, si trova nel mar Cinese meridionale. La superficie del paese è di circa 9.536.499 km2, la capitale è Pechino. Il nome cinese del paese (Zhonghua, “terra centrale”) deriva dall’antichissima credenza che esso fosse geograficamente al centro della Terra e sede dell’unica, autentica civiltà.
Il territorio cinese è così esteso da comprendere regioni fisiche tra loro molto diverse. I rilievi più imponenti si trovano nelle aree occidentali del continente e comprendono catene quali il Tian Shan, il Kunlun Shan e l’Himalaya. Le zone montuose – ricche di risorse idriche e minerarie – occupano circa il 43% del territorio e cingono una serie di altipiani e bacini; questi ultimi, prevalentemente collinari, si situano soprattutto nelle regioni aride. Solo il 12% della superficie complessiva del paese può essere considerato pianeggiante.
Regioni fisiche
La Cina può essere suddivisa in sei grandi regioni fisiche, ognuna delle quali con proprie peculiari caratteristiche.
Il Nord-ovest
Questa regione comprende a nord il bacino di Zungaria che, nonostante sia caratterizzato da aree desertiche sabbiose e rocciose, è una regione piuttosto fertile dove l’agricoltura viene praticata grazie a estesi sistemi di irrigazione; a sud il bacino del Tarim e gli elevati rilievi del Tian Shan. Quest’area comprende il deserto più arido dell’Asia, il Taklimakan. La sezione orientale del Tian Shan si divide in due catene tra le quali si estende la depressione di Turfan.
La Mongolia interna
Situata nella Cina centrosettentrionale, è un altopiano caratterizzato da deserti di sabbia, roccia e ghiaia che a est digrada in fertili steppe. Questa regione, delimitata a est dalla boscosa catena del Grande Khingan, comprende pianure ondulate divise da aridi tavolati rocciosi.
Il Nord-est
Comprende tutta la Manciuria a est della catena del Grande Khinghan: si tratta di una vasta e fertile pianura circondata da monti e colline intervallate da innumerevoli valli e dolci pendii. A sud si trova la penisola di Liaodong, nota per i suoi porti naturali.
Cina settentrionale
Questa regione si trova nella zona delimitata a nord dalla Mongolia Interna e, a sud, dal bacino del fiume Chang Jiang; qui si trovano l’altopiano del Loess, nel Nord-ovest, caratterizzato da profonde vallate, gole e terrazze adibite alla coltivazione; il bassopiano cinese, la più vasta area pianeggiante del paese, il cui fertile terreno ricco di limo è intensamente coltivato; i monti della penisola dello Shandong, a est, i cui versanti digradano in aree collinari; infine, gli aspri e inaccessibili rilievi del Sud-ovest.
Cina meridionale
Questa regione abbraccia la valle del Chang Jiang e le numerose regioni del Sud. La valle del grande fiume consiste in una serie di bacini i cui fertili terreni alluvionali sono solcati da canali navigabili e costellati da laghi. A ovest si estende il bacino del Sichuan, un fertile territorio collinare e coltivato, circondato dai contrafforti irregolari degli altipiani centrali. Gli altipiani meridionali sono compresi tra l’altopiano tibetano e il mare: a ovest, quello dello Yunnan-Guizhou è circondato da una serie di catene montuose, separate da gole ripide e profonde; nel Guizhou orientale il paesaggio è dominato da alte vette di roccia calcarea. A est si estendono le colline di Nan Ling, diboscate e soggette a erosione e, lungo la costa, gli irregolari altipiani sudorientali, dove le baie e le numerose isole formano suggestivi porti naturali. A sud del Nan Ling si trova il bacino dello Xi Jiang. I numerosi torrenti della regione scorrono in fertili valli alluvionali; a sud di Canton si estende la vasta pianura del delta dello Zhujiang.
L’altopiano del Tibet
L’estrema regione sudoccidentale del continente è occupata dall’altopiano del Tibet che, con una media di 4510 m sul livello del mare, è la regione più elevata della Terra. Roccioso e costellato da laghi salati e paludi, l’altopiano è attraversato da numerose catene montuose quali l’Himalaya (a sud), il Pamir e il Karakoram (a ovest), il Kunlun Shan e le Qilian Shan (a nord). Qui si trovano le sorgenti di molti fiumi importanti del Sud-Est asiatico come l’Indo, il Gange, il Brahmaputra, il Mekong, il Chang Jiang e lo Huang He (Fiume Giallo).
Idrografia
Circa il 50% dei fiumi del paese, compresi i tre più lunghi (Chang Jiang, Huang He e Xi Jiang) scorre da ovest a est e sfocia nell’oceano Pacifico; circa il 10% sfocia nell’oceano Indiano o nel mar Glaciale Artico e il rimanente 40%, privo di sbocco al mare, si getta negli aridi bacini occidentali e settentrionali dove le acque evaporano o filtrano formando nel sottosuolo profonde riserve d’acqua.
Il fiume più settentrionale della Cina, l’Amur (Heilong Jiang), segna la maggior parte del confine con la Russia. Il Sungari, il Liao e i loro affluenti defluiscono nelle pianure della Manciuria e nelle circostanti zone di montagna. Il fiume più importante della Cina settentrionale è lo Huang He, le cui piene hanno avuto conseguenze spesso disastrose: nasce nell’altopiano del Tibet, dove segue un andamento tortuoso per poi confluire nel Bo Hai, un ramo del mar Giallo. Il Chang Jiang, che scorre nella Cina centrale, ha una portata dieci volte superiore rispetto allo Huang He ed è il più lungo del continente asiatico; importante arteria di comunicazione, nasce anch’esso nell’altopiano tibetano e sfocia nel mar Cinese orientale. Il fiume Xi Jiang, che sfocia presso Canton, nella provincia di Guangzhou, presenta numerosi affluenti e diramazioni che formano il principale sistema idrico della Cina meridionale.
La maggior parte dei laghi più importanti del paese si trova lungo il medio e basso corso del Chang Jiang, come il Dongting e il Poyang Hu che costituiscono importanti bacini di riserva idrica. Nel delta del Chang Jiang si trovano inoltre il Tai Hu, il Gaoyou Hu e l’Hongze Hu.
Nell’altopiano tibetano sono presenti numerosi laghi di acqua salata, il maggiore dei quali è il paludoso lago Qinghai, situato nella bassa zona nordorientale; anche nell’arida regione nordoccidentale e nelle zone di confine con la Mongolia si trovano numerosi bacini, spesso salati, come il Lop Nur e il Bosten Hu, a est del bacino del Tarim. L’Ulansuhai Nur, alimentato dal fiume Huang He, si trova nella Mongolia Interna, mentre lo Hulun Nur si estende a ovest del Grande Khingan, in Manciuria.
In tutto il paese sono stati creati più di duemila bacini artificiali al fine di agevolare l’irrigazione dei terreni ed evitare gravi inondazioni; di questi il più esteso è il Long Men, sullo Huang He.
Clima
Il clima della Cina tende a essere continentale, con forti estremi e variazioni regionali; nell’entroterra occidentale è prevalentemente temperato, con aree desertiche e semiaride; nell’estremo sud e a sud-est si trova una limitata zona caratterizzata da un clima tropicale.
I monsoni esercitano una profonda influenza sul clima del continente. Durante l’inverno, venti freddi e secchi soffiano dal sistema di alte pressioni della Siberia centrale, portando temperature basse su tutte le regioni a nord del Chang Jiang e siccità sulla maggior parte del paese; in estate, aria umida e calda penetra verso l’interno dall’oceano Pacifico, causando spesso il verificarsi di tempeste e cicloni. Le precipitazioni diminuiscono rapidamente con l’aumentare della distanza dalla costa e sui pendii sottovento dei rilievi. Le temperature in estate sono uniformi in tutto il paese, in inverno variano notevolmente da nord a sud.
A sud della valle del Chang Jiang il clima varia da subtropicale a tropicale, con temperature medie estive attorno ai 26 °C. Le medie invernali scendono dai 17,8 °C a sud ai circa 3,9 °C lungo il Chang Jiang. Sulle zone costiere si abbattono spesso tifoni che, concentrati soprattutto tra luglio e novembre, portano forti venti e piogge. Anche gli altipiani e i bacini a sud-ovest hanno un clima subtropicale, con notevoli variazioni locali; a causa delle altitudini elevate, qui le estati sono più fresche e, grazie alla protezione dai venti del Nord, gli inverni sono miti. Il bacino di Sichuan è noto per l’elevata umidità: le piogge, particolarmente abbondanti in estate, superano i 990 mm all’anno in quasi tutta la Cina meridionale.
La Cina settentrionale, che in assenza di rilievi è esposta alle correnti provenienti dalla Siberia, ha inverni rigidi. Le temperature in gennaio variano dai 3,9 °C dell’estremo sud, a circa -10 °C a nord di Pechino e nelle aree montuose a ovest; a luglio superano generalmente i 26 °C e, nel bassopiano cinese, si avvicinano ai 30 °C. Quasi tutte le precipitazioni sono concentrate nel periodo estivo e, generalmente, non raggiungono i 760 mm diminuendo verso nord-ovest, dove il clima è tipico della steppa.
In Manciuria il clima è simile a quello della Cina settentrionale, ma più freddo. In gennaio si registra una temperatura media di circa -17,8 °C mentre le temperature di luglio superano generalmente i 22,2 °C. Le piogge, concentrate in estate, sono in media comprese tra i 510 e i 760 mm nelle zone orientali; più aride sono le aree a ovest del Grande Kinghan, dove la media delle precipitazioni scende a circa 300 mm.
Nella Mongolia Interna e a nord-ovest prevale un clima desertico o semiarido. Le medie di gennaio rimangono inferiori ai -10 °C, a eccezione del bacino di Tarim; quelle di luglio superano generalmente i 20 °C. Le precipitazioni annuali sono inferiori a 250 mm, mentre nella maggior parte del territorio non superano i 100 mm.
Per le sue elevate altitudini, l’altipiano tibetano ha un clima artico; nei mesi estivi le temperature non superano mai i 15 °C, con precipitazioni annuali ovunque inferiori ai 100 mm, a eccezione dell’estremo Sud-est.
Flora
Data la vastità del territorio e la presenza di numerose e diverse regioni fisiche e climatiche, la vegetazione del continente cinese è molto varia. Nel corso dei secoli molte zone sono state diboscate per lasciare il posto a nuovi insediamenti e a terreno agricolo; le foreste naturali sono state salvaguardate solo nelle zone montuose più remote.
Nella regione a sud della valle dello Xi Jiang si trovano fitte foresta pluviale formate soprattutto da sempreverdi d’alto fusto e palme. Una vasta regione caratterizzata da vegetazione subtropicale si estende a nord della valle del Chang Jiang e a ovest dell’altopiano tibetano; qui crescono la quercia, il ginkgo, il pino, l’azalea e la camelia, oltre a foreste di lauri e di magnolie con un denso sottobosco di arbusti e boschetti di bambù. Nelle zone montuose più elevate abbondano le conifere.
A nord della valle del Chang Jiang prevalgono foreste di latifoglie decidue, tra cui la quercia, il frassino, l’olmo e l’acero, mentre a nord, in Manciuria, crescono tigli e betulle. Le più importanti riserve di legname del paese si trovano sui rilievi della Manciuria settentrionale, dove abbondano le foreste di conifere. La pianura della Manciuria, oggi intensamente coltivata, era un tempo caratterizzata da una vegetazione arbustiva e da limitate aree boschive.
Nella zona orientale, ai confini con la Mongolia, si incontrano steppe caratterizzate da una vegetazione arbustiva resistente alla siccità, mentre nelle più aride regioni nordoccidentali ampie zone prive di vegetazione si alternano ad aree limitate in cui crescono graminacee. Le zone più elevate dell’altopiano tibetano sono dominate dalla tundra, con una ricca vegetazione erbacea e fiori, e in alcune zone da foreste di abeti.
Fauna
Le specie animali presenti in Cina sono molteplici. Endemiche sono alcune specie di alligatori e salamandre, il panda gigante, che vive nelle regioni a sud-ovest, e il capriolo d’acqua (Hydropotes inermis), che si trova unicamente in Cina e in Corea.
Nelle regioni tropicali meridionali si trovano numerosi tipi di scimmie e, in alcune zone remote, carnivori quali orsi, tigri e leopardi; questi ultimi vivono anche nelle zone periferiche di molte città, soprattutto nella Manciuria settentrionale. Il leopardo delle nevi vive invece nel Tibet. Piccoli carnivori, come le volpi, i procioni e i bassarischi, sono diffusi un po’ ovunque. Antilopi, gazzelle, camosci, cavalli e cervi popolano le zone montuose e i bacini occidentali; l’alce dell’Alaska si trova nella Manciuria settentrionale. Numerose sono inoltre le specie ornitologiche, tra cui pappagalli, fagiani e aironi.
Tra gli animali domestici troviamo il bufalo, uno degli animali da tiro più diffusi nelle zone meridionali; il cammello, nelle aree settentrionali e occidentali; lo yak, nelle regioni più elevate e nel Tibet.
Ricca è la fauna marina (tonno, granchi, gamberetti, delfini ecc.), soprattutto nelle acque sudorientali, mentre nei fiumi si trovano salmoni, trote, storioni e una particolare specie di delfino d’acqua dolce. L’allevamento ittico è molto diffuso.
Il 93% della popolazione cinese è han; più di 70 milioni di persone appartengono a oltre cinquanta diverse etnie che si distinguono dagli han più per ragioni linguistiche e religiose che per caratteristiche razziali. Di queste le principali sono gli zhuang, presenti soprattutto nella regione dello Guangxi Zhuang; gli hui, o cinesi musulmani, che vivono nello Ningxia Hui, nel Gansu e nel Qinghai; gli uiguri (di stirpe turca) dello Xinjiang Uygur; gli yi del Sichuan, dello Yunnan e del Guangxi; i miao del Guizhou, dell’Hunan e dello Yunnan; i tibetani della Regione Autonoma del Tibet e del Qinghai; i mongoli della Mongolia Interna, del Gansu e dello Xinjiang. Tra gli altri si citano coreani, bouyei e manciù; questi ultimi discendono dal popolo che conquistò la Cina nel XVII secolo, stabilendo la dinastia Ching (o Manciù).
Caratteristiche demografiche
In base al censimento del 1993 la Cina ha una popolazione di 1.165.700.000 abitanti, con una densità di 123 unità per km2. Il dato rappresenta la media di una distribuzione geografica molto irregolare. La maggior parte della popolazione è concentrata nelle province orientali, teatro dei maggiori eventi della storia cinese; qui gli han hanno sviluppato modelli di insediamento molto diversi rispetto a quelli delle minoranze stanziate nelle regioni a ovest.
Nonostante la recente industrializzazione, la Cina continua a essere un paese principalmente rurale e agricolo dove l’urbanizzazione si è verificata attraverso un processo lento e graduale; tuttora circa il 79% della popolazione vive in insediamenti rurali.
Durante la rivoluzione culturale si cercò di incentivare il trasferimento (temporaneo o permanente) dalla città alle zone rurali di giovani istruiti al fine di diffondervi capacità professionali che avrebbero dovuto ridurre la tendenza all’inurbamento. Il programma fu ridotto dopo la morte di Mao nel 1976 e quasi completamente eliminato verso la fine del 1978. Una politica a lungo termine prevede il trasferimento di 440 milioni di contadini, il 37% della popolazione, verso città già esistenti o nuove città entro il 2040.
Il calo delle nascite verificatosi nel paese tra gli anni Cinquanta e Novanta è dovuto principalmente a iniziative del governo che hanno cercato di limitare l’eccessivo incremento demografico. In tempi recenti è stato imposto un limite al numero dei figli di un nucleo familiare ed è stato legalizzato l’aborto. Da questi programmi lo stato ha escluso la popolazione appartenente a etnie di minoranza in modo da favorire la loro autonomia culturale.
Città principali
Le prime città cinesi sorsero nel XV secolo a.C., sotto la dinastia Shang, e si svilupparono come sedi politiche e amministrative, come centri di mercato e, dopo gli anni Cinquanta, anche come poli industriali.
In base a un censimento del 1992, in Cina ci sono oltre quaranta città con più di un milione di abitanti; le principali sono Shanghai (7.834.800 abitanti nel 1993), la città più estesa del paese e il più importante centro portuale; Pechino (5.769.607 abitanti), capitale e centro culturale, Tianjin (4.574.689 abitanti), città portuale sul Grande Canale; Shenyang (3.603.712 abitanti), Wuhan (3.750.000 abitanti) e Canton (3.580.000 abitanti).
Lingua e religione
La lingua cinese comprende più di una dozzina di dialetti fra loro differenti. Le minoranze del paese possiedono una propria lingua come il mongolo, il tibetano, il miao, il thai, l’uiguro e il kazaco. Il mandarino viene insegnato nelle scuole, di solito come seconda lingua, e la sua conoscenza è obbligatoria in tutto il paese. Il cantonese è il dialetto maggiormente usato dai cinesi all’estero, a causa delle grandi migrazioni verificatesi soprattutto dalla zona di Canton verso i paesi esteri e dell’importanza che riveste la regione di Guangdong nel commercio internazionale.
Una delle prime azioni compiute dal Partito comunista cinese dopo il 1949, fu l’eliminazione ufficiale della religione di stato. In precedenza i credo dominanti erano il confucianesimo, il taoismo e il buddhismo, seguiti dal cristianesimo e dall’Islam; la maggior parte dei templi e delle scuole appartenenti a tali religioni furono trasformati in edifici civili. Con la costituzione del 1978, tuttavia, fu dato nuovamente assenso ufficiale alla divulgazione e alla pratica religiose, nonostante si siano precisati gli stessi diritti anche per quanto riguarda l’ateismo. La professione del buddhismo tibetano, o lamaismo, rimane ancora vietata a causa della sua relazione con il movimento tibetano indipendentista; si stima che, dopo l’occupazione cinese del 1950, più di 2700 monasteri tibetani siano stati distrutti. Vedi anche Religione cinese.
Istruzione e cultura
La Cina ha una lunga e ricca tradizione culturale, in cui l’istruzione ha avuto un ruolo importante. Ciononostante, nel 1949 l’80% della popolazione era analfabeta, mentre nel 1990 il tasso di analfabetismo si aggirava ancora intorno al 27%. Uno dei più ambiziosi programmi promossi dal Partito comunista fu garantire un buon livello di istruzione a tutta la popolazione; tra il 1949 e il 1951, più di 60 milioni di contadini frequentarono le “scuole d’inverno” organizzate nei mesi in cui essi non erano dediti al lavoro dei campi.
Nell’attuale sistema, gli studenti più capaci che frequentano le scuole superiori vengono ammessi a corsi specializzati mirati a formare un’élite accademica. Dopo la scuola secondaria gli studenti possono accedere a istituti di istruzione superiore, soprattutto a indirizzo tecnico-scientifico, o universitari. Le principali università della Cina sono l’università di Pechino (fondata nel 1898), l’università di Hangzhou (1952), l’università Futan di Shanghai (1922) e l’università di Scienze e Tecnologia della Cina a Hefei (1958).
I principali centri culturali del paese sono Pechino, Shanghai e Canton, che ospitano musei e monumenti di grande interesse; tra questi si citano la “Città Proibita” a Pechino, antica residenza imperiale e noto museo aperto al pubblico; il Museo di Scienze Naturali e il Museo d’Arte e di Storia, che custodisce una delle più interessanti collezioni d’arte della Cina a Shanghai.
Per approfondimenti riguardanti la cultura cinese vedi Arte e architettura cinese; Letteratura cinese; Cinema cinese; Filosofia cinese; Musica cinese.
Per più di 2000 anni l’economia cinese si è basata su un sistema feudale: le terre appartenevano a un esiguo numero di proprietari terrieri i cui mezzi di sussistenza provenivano dalle rendite dei loro già poveri affittuari. Le prime industrie e le prime forme di commercio erano controllate da monopoli statali. Nell’XI secolo d.C., sotto la dinastia Sung, si sviluppò una sofisticata economia basata sul commercio con emergenti forme di attività bancaria, che però venne meno con l’avvento della dinastia Ming. Sotto i Ching la Cina ebbe un altro periodo di grande prosperità ed espansione demografica seguito tuttavia da difficili anni di crisi economica e di conflitti interni.
Con la conclusione delle guerre dell’Oppio (1860) ebbe inizio un periodo di penetrazione occidentale che aveva come punto di partenza i porti lungo la costa; il fenomeno portò alla costruzione di ferrovie e allo sviluppo di industrie di tipo moderno, ma ebbe come conseguenza la suddivisione del territorio cinese in diverse sfere d’influenza in competizione fra loro.
Il Partito comunista cinese emerse negli anni Venti, un periodo di pesante crisi economica causata sia dall’intervento straniero sia dalla crescente influenza dei proprietari terrieri nelle aree rurali. Per più di due decenni il Partito promosse un’azione di controllo sulle campagne introducendo un programma agrario basato sul controllo delle quote richieste per l’affitto delle terre e della pratica dell’usura, nonché sull’aumento di potere delle associazioni contadine. Il 1° ottobre 1949 stabilì con successo un governo e un’economia nazionali unificati per la prima volta dalla fine del periodo imperiale. Dal 1949 al 1952 fu posto l’accento su problemi riguardanti l’inflazione, la disoccupazione e la scarsità di risorse alimentari; il nuovo governo diede avvio a una riforma agraria che portò alla ridistribuzione della terra a 300 milioni di contadini che, con il primo piano quinquennale (1953-1957), furono organizzati in cooperative agricole. Nel 1958 furono create le comuni rurali che, basate sul principio della collettivizzazione della terra e dei mezzi di produzione, rimasero il fondamento dell’agricoltura fino all’inizio degli anni Ottanta. Nelle aree urbane, la nazionalizzazione di tutte le imprese (industriali e commerciali) fu realizzata in modo graduale. Grazie al massiccio intervento statale, durante il primo piano quinquennale il settore industriale subì un notevole sviluppo. Il secondo piano quinquennale (dal 1958) assisté all’attuazione del programma che, indirizzando grandi investimenti all’industria pesante, causò gravi squilibri nella gestione e nella crescita nazionale dell’economia, portando alla morte per fame circa venti milioni di persone. Dopo il 1960 l’economia cinese entrò in un periodo di riassestamento; nel 1965 la produzione, in molti settori, raggiunse livelli paragonabili a quelli del precedente decennio. Il terzo piano quinquennale iniziò nel 1966, ma la produzione agricola e industriale fu severamente limitata a causa degli effetti della rivoluzione culturale. Un quarto piano quinquennale fu introdotto nel 1971, in concomitanza con una lenta ripresa economica.
Nel 1976, i leader cinesi diedero avvio a un ulteriore piano quinquennale, interrotto però nel 1978 dal cosiddetto programma delle “quattro modernizzazioni”, tendente a portare il paese a una posizione di preminenza nell’ambito dell’economia mondiale entro il Duemila. Furono avviati programmi di rinnovamento della gestione economica, fu conferito un ruolo più importante alle imprese private e alle cooperative, si cominciò ad avvalersi di tecnologie e investimenti occidentali e a incentivare il più possibile la produzione agricola. Alcune politiche introdotte nell’ottobre del 1984 prevedevano, inoltre, un’ulteriore decentramento della pianificazione economica e un incremento dell’affidamento alle forze di mercato per la determinazione dei prezzi al consumo. Il piano quinquennale dal 1986 al 1990 anticipò la crescita economica a un tasso del 7%, ma l’economia subì un freno – seppur temporaneo – dopo il crollo politico del 1989. Nei primi anni Novanta è iniziata una fase di espansione e di crescita economica alla quale hanno contribuito considerevoli investimenti stranieri, soprattutto americani. Questo rapido sviluppo ha causato alcuni problemi quali l’alto tasso d’inflazione nelle zone urbane e l’acuirsi delle disparità tra i ceti sociali.
Il prodotto nazionale lordo nel 1992 fu di circa 434 miliardi di dollari USA (dati della Banca Mondiale del 1989-1991), pari a circa 370 dollari pro capite. L’agricoltura (comprese alcune piccole industrie nelle zone rurali), la silvicoltura e la pesca rappresentano circa il 27% del reddito nazionale, e l’industria (che comprende i settori manifatturiero, minerario, energetico ed edile) più del 45%.
Agricoltura
L’agricoltura, tradizionale risorsa economica del paese, continua a rappresentare un settore importante. I terreni coltivabili non coprono più del 10% della superficie complessiva del paese e si trovano soprattutto nelle regioni orientali del continente. Il consistente aumento della produzione agricola avvenuto a partire dal 1949 – che a causa del massiccio incremento demografico non corrispose a un sostanziale vantaggio per la popolazione – fu probabilmente dovuto ai cambiamenti apportati all’organizzazione dell’attività rurale. Le comuni create nel 1958 – che nel 1979 erano circa 52.000 – divennero le nuove unità socioeconomiche e garantivano il raggiungimento degli obiettivi posti dallo stato. Il sistema permise di condurre esperimenti su grande scala quali lo sviluppo di nuovi metodi di irrigazione e drenaggio. Questi ultimi, assieme a un uso massiccio di fertilizzanti, permisero di ottenere fino a tre raccolti l’anno, soprattutto nelle valli del bassopiano cinese e nel medio e basso corso del Chang Jiang, impoverendo però i suoli. All’inizio degli anni Novanta lo stato, per combattere la carenza di derrate alimentari conseguente all’aumento della media dei consumi pro capite, riorganizzò il metodo collocando la famiglia al centro del sistema di produzione, concedendole di concordare singolarmente con le autorità locali i quantitativi da produrre e di vendere liberamente le eccedenze. La rigida pianificazione precedente, dettata dalla forte pressione esercitata sui terreni arabili, divenne più elastica e fu promossa un’economia di tipo misto, più rispettosa dell’ambiente e maggiormente remunerativa.
Attualmente, per integrare la produzione, sono state create più di 2000 aziende agricole statali, alcune delle quali a scopo sperimentale o per la produzione di raccolti destinati ai mercati urbani o esteri. Queste aziende si trovano spesso in zone vergini dove la densità di popolazione rurale è bassa e dove attrezzature moderne, normalmente poco diffuse a causa delle dimensioni relativamente modeste delle aree coltivate, possono essere utilizzate con efficacia.
Produzione agricola
Circa l’80% dei terreni agricoli è destinato alla produzione alimentare; il prodotto principale è il riso, per cui la Cina detiene il primato mondiale, coltivato nelle zone a sud del fiume Huai, nella valle del Chang Jiang, nel delta dello Zhujiang e nel bacino del Sichuan.
Diffuse sono inoltre le coltivazioni di frumento, nella zona a nord del fiume Huai, nel bassopiano cinese e nelle valli dei fiumi Wei e Fen, nella regione del Loess. Nella Cina settentrionale e in Manciuria sono importanti le produzioni di sorgo e di miglio. Il mais occupa circa il 20% delle aree coltivate; la produzione di avena è importante nella Mongolia centrale e nella regione occidentale, principalmente in Tibet.
Altre colture di rilievo sono batate, patate, ortaggi e frutta, come quella tropicale, nell’isola di Hainan, mele e pere nelle province settentrionali di Liaoning e Shandong, e agrumi nella Cina meridionale.
Tra i semi oleosi si coltivano la soia, soprattutto nella Cina settentrionale e in Manciuria, arachidi (nello Shandong e nello Hebei), sesamo, girasole e, nel Sichuan, il tung.
Uno dei principali prodotti da esportazione è il tè, le cui principali piantagioni si trovano nelle aree collinari della valle del Chang Jiang e nelle province sudorientali di Fujian e Zhejiang. Lo zucchero viene ricavato soprattutto dalla canna, coltivata nelle province di Guangdong e Sichuan.
Fiorente è inoltre la coltivazione di piante tessili tra cui quella del cotone, di cui la Cina è il maggiore produttore mondiale, concentrata soprattutto nel bassopiano cinese, oltre che nella regione del Loess, nel basso e medio corso del Chang Jiang. Altre importanti piante tessili sono ramié, iuta, canapa, lino e seta; la sericoltura, attività tradizionale del paese, è praticata nelle regioni centrali e meridionali, soprattutto nel delta del Chang Jiang.
Allevamento
In Cina l’allevamento rappresenta una risorsa molto importante. Il più diffuso è quello dei suini, fondamentale per l’alimentazione, mentre nelle zone rurali occidentali i pastori sono dediti prevalentemente all’allevamento di ovini, caprini e cammelli. Nelle zone più elevate del Tibet la carne di yak, il cui sterco viene usato come combustibile, costituisce uno dei principali alimenti, mentre con la pelle dell’animale vengono prodotti abiti e tende.
Pesca
Nonostante la pesca sia praticata tuttora con metodi piuttosto tradizionali, la Cina è uno dei maggiori produttori di pesce del mondo. Nel paese sono presenti numerosi allevamenti ittici, in particolare di carpe, uno degli elementi base dell’alimentazione cinese. Le principali regioni produttrici si trovano vicino ai distretti urbani nella bassa e media valle del Chang Jiang e nel delta dello Zhujiang Kou. I mari più pescosi sono il mar Cinese meridionale e il Bo Hai.
Risorse forestali
A causa di secoli di eccessivo sfruttamento, le risorse forestali cinesi sono ora limitate. Programmi intensivi volti al rimboschimento hanno ottenuto soltanto risultati parziali e all’inizio degli anni Novanta le zone boscose ammontavano al 13% del territorio totale, per una produzione di 277 milioni di m3 di legname.
La distribuzione delle foreste è molto irregolare; esse si trovano soprattutto in Manciuria, nel Tibet sudorientale e nello Yunnan. Un progetto importante prevede l’impianto di una cintura forestale continua lungo il lato nordoccidentale delle regioni semiaride, nel bassopiano cinese e nella Manciuria occidentale.
Risorse minerarie
La Cina possiede una grande varietà di risorse minerarie: gli unici minerali non presenti sono il vanadio, il cromo e il cobalto. I giacimenti sono distribuiti in tutto il paese, ma le aree più ricche sono la Manciuria meridionale, soprattutto la penisola di Liaodong e le zone montuose del Sud. Sono presenti anche ingenti risorse energetiche. Le riserve di carbone (fino a 11 mila miliardi di tonnellate) si trovano in Manciuria e nelle zone settentrionali; quelle di petrolio (secondo le stime, più di 20 miliardi di tonnellate), soprattutto in mare aperto, in Manciuria, nelle province nordoccidentali di Shaanxi, Gansu, Qinghai, e nello Xinjiang Uygur. I giacimenti di olio di scisto si trovano principalmente nel Liaoning e nel Guangdong. Le riserve di minerali di ferro sono localizzate soprattutto nella Manciuria meridionale, nell’Hebei settentrionale e nella Mongolia interna centrale. I giacimenti di ematite si trovano nel Liaoning, nello Hubei, nella valle del Chang Jiang e nello Hainan; quelli di minerali di alluminio nel Liaoning e nel Shandong. La produzione di stagno raffinato della Cina copre l’8% della produzione mondiale; nel continente, soprattutto nello Hunan, si trovano ricchissimi giacimenti di antimonio e tungsteno. Sono presenti anche magnesite, molibdeno, mercurio, manganese, piombo, zinco e rame. In Manciuria e nelle regioni a nord-ovest sono stati scoperti giacimenti di uranio; altre risorse minerarie importanti sono il sale, il talco, la mica, il quarzo e la silice.
Industria
Dal 1965 al 1990 il settore industriale cinese (principalmente l’industria pesante) incrementò la propria partecipazione al prodotto interno lordo. Verso la metà degli anni Novanta esistevano più di 300.000 imprese che, sparse in tutto il paese, formavano sistemi industriali regionali integrati ma indipendenti.
Alla fine degli anni Settanta lo stato rivide gli obiettivi che si era posto in passato nel tentativo di porre rimedio a una serie di problemi causati dalla cattiva pianificazione. In molte città, la tendenza all’autosufficienza era prevalsa sulla specializzazione; la rapida crescita dell’industria pesante aveva avuto effetti negativi sull’ambiente urbano e aveva utilizzato fondi che sarebbero stati più utili nell’agricoltura, nell’industria leggera e nel miglioramento delle strutture urbane; la tecnologia era stata completamente trascurata.
Il programma di riassestamento prevedeva un rallentamento dello sviluppo dell’industria pesante a favore di quella leggera e del settore edile, incentivato per migliorare le condizioni abitative dei residenti urbani creando contemporaneamente nuove opportunità di lavoro. Un’altra recente riforma fu la concessione di autonomia alle imprese statali, cui venne permesso di gestire, dopo aver raggiunto gli obiettivi fissati dallo stato, la produzione, le vendite e i guadagni. Molti borsisti, dirigenti di fabbriche e tecnici furono inviati all’estero per perfezionarsi nei settori tecnico e gestionale; inoltre fu importata tecnologia straniera sotto forma di nuovi e completi stabilimenti. Agli inizi degli anni Novanta si contavano nel paese più di sei milioni di imprese private e quasi due milioni di imprese organizzate in cooperative autonome.
Produzione industriale
Lo sviluppo dell’industria del ferro e dell’acciaio nel paese è stato prioritario fin dal 1949. Le principali aree di produzione si trovano in Manciuria, nella Cina settentrionale e nella valle del Chang Jiang.
Un’industria pesante di rilievo è rappresentata dalla cantieristica e dalla fabbricazione di locomotive, trattori, macchinari per l’industria estrattiva e per la raffinazione del petrolio.
L’industria petrolchimica possiede stabilimenti nella maggior parte delle province e delle regioni autonome cinesi; di rilievo quelli di Pechino, Shanghai, Lanzhou, Yueyang, Anqing e Canton. La produzione comprende fibre sintetiche, prodotti farmaceutici e materiale plastico. Una caratteristica dell’industria petrolchimica cinese è la presenza molto diffusa di piccoli stabilimenti che producono concime azotato utilizzando una tecnica di produzione, sviluppata nel paese, essenziale per mantenere fertili i terreni agricoli.
Particolarmente fiorente nel paese è l’industria tessile che impiega più di quattro milioni di lavoratori; la maggior parte degli stabilimenti si trova vicino alle zone di produzione del cotone come le province di Hubei, Hunan, Hebei e Shaanxi. Altre industrie importanti producono cemento, carta, biciclette, macchine da cucire, veicoli a motore e apparecchi televisivi.
La Cina è uno dei principali paesi produttori di elettricità del mondo; nonostante questo, il fabbisogno del paese non viene soddisfatto, principalmente nelle città, e per questo lo stato ha dato priorità allo sviluppo del settore. L’energia viene fornita soprattutto da centrali termoelettriche alimentate a carbone mentre le centrali idroelettriche coprono il 5% della produzione annua.
Flussi monetari e banche
L’unità monetaria cinese è lo yuan. Il sistema bancario è controllato dal governo; la Banca Popolare Cinese è l’istituzione centrale di finanziamento ed è responsabile dell’emissione di moneta.
Commercio
Un tempo il commercio interno cinese obbediva a leggi di pianificazione statale. Fino alla fine degli anni Settanta il governo forniva alle imprese di stato macchinari e materie prime e la distribuzione della merce era affidata ad agenzie statali. I prodotti di consumo richiesti dalla popolazione rurale venivano forniti da una cooperativa incaricata della commercializzazione dei prodotti. Questi, come olio, carne, zucchero, cereali e tessuti di cotone, erano razionati e venduti a prezzi politici; i cereali venivano distribuiti nelle zone rurali come remunerazione per il lavoro effettuato.
Dal 1979 le imprese dello stato sono libere di scegliere alcuni dei propri acquisti e di commercializzare parte dei loro prodotti. Nei centri urbani tale riorganizzazione ha portato alla rapida crescita di attività private (soprattutto servizi); nelle campagne sono stati riaperti i mercati, dove le famiglie possono vendere le eccedenze della propria produzione e acquistare altri prodotti.
Per quanto riguarda il commercio estero, nel 1979 la Cina abolì alcune restrizioni aprendo la strada all’investimento e a un aumento degli scambi commerciali. I prodotti maggiormente esportati sono petrolio grezzo e raffinato, tessuti di cotone, seta, abbigliamento, riso, suini, prodotti ittici e tè. I prodotti di importazione comprendono macchinari, automobili, fertilizzanti, caucciù e frumento. Il Giappone è il paese con cui la Cina realizza il maggior numero di scambi commerciali, seguito da Hong Kong e dagli Stati Uniti; tra gli altri si citano la Germania, Taiwan e Singapore.
Trasporti e comunicazioni
Due terzi del trasporto di passeggeri e metà del trasporto merci viene effettuato su rotaia. Dal 1949 la rete ferroviaria è stata ampliata fino ad arrivare nel 1992 a 68.000 km, di cui solo una piccola parte è elettrificata; quando il tratto Lanzhou-Lhasa (Tibet) sarà completato, la ferrovia collegherà tutte le province e le regioni autonome della Cina.
La rete stradale (1.056.700 km) collega oggi Pechino a tutte le province, le regioni autonome, i porti e i centri ferroviari ed è ampiamente presente anche nelle zone rurali. Nelle aree urbane il trasporto pubblico è ben sviluppato. Nel 1994 sulle strade cinesi circolavano più di 8 milioni di autoveicoli; molto diffuso è l’utilizzo della bicicletta.
Molti trasporti nel paese avvengono attraverso gli oltre 110.000 km di canali navigabili. I principali sono il Chang Jiang e il Gran Canale, che si estende da Pechino a Hangzhou. In alcune zone i canali di irrigazione e di drenaggio vengono usati dai contadini come idrovie interne. Anche i collegamenti marittimi sono importanti e la flotta mercantile cinese ammonta a circa 2700 navi (1994). Il trasporto aereo fu incrementato a partire dal 1980, con l’apertura dell’aeroporto internazionale di Pechino.
Il sistema delle telecomunicazioni è ancora in stato di estrema arretratezza e la maggior parte delle stazioni radiofoniche e televisive, il servizio telefonico e quello postale sono ancora gestiti dallo stato.
La Repubblica Popolare Cinese si regge su una costituzione promulgata nel 1982, la quarta dopo l’avvento del regime comunista (le altre tre furono redatte nel 1954, nel 1975 e nel 1978). L’Assemblea nazionale del popolo è l’organo con i maggiori poteri; i suoi membri – che devono appartenere al Partito comunista o essere da esso approvati – sono eletti per un periodo di cinque anni attraverso una serie di elezioni indirette. Questa rappresenta il potere legislativo e ha la facoltà di apportare modifiche alla costituzione, stabilire i piani economici e approvare i bilanci dello stato, ma in pratica, a causa dell’alto numero dei suoi membri (2896 nel 1993), si riunisce di rado e solo per discutere determinate questioni. Un Comitato permanente, da essa eletto, la sostituisce in diverse funzioni. L’Assemblea nazionale del popolo elegge il presidente (carica perlopiù formale) ogni cinque anni e il governo, organo esecutivo presieduto da un primo ministro e responsabile di fronte al potere legislativo. Il premier e il segretario generale del Partito comunista sono le figure più influenti dell’apparato statale. Una Commissione militare centrale è preposta al comando dell’esercito. L’ordine civile in Cina, diversamente che in Occidente, è da sempre affidato alle famiglie, ai distretti o ai governi locali e non è mai stato creato un sistema giudiziario ufficiale. A partire dal 1978 il paese si è impegnato ad adeguare il proprio ai sistemi dei paesi occidentali e, dal 1982, i cinesi hanno acquisito il diritto ad avere una difesa legale. Attualmente l’organo più alto è la Corte popolare suprema, che garantisce il rispetto della costituzione e delle leggi promulgate dal governo.
Il governo locale in Cina è organizzato in tre livelli amministrativi; al primo livello, immediatamente sottoposte al governo centrale, ci sono 22 province, 5 regioni autonome e 3 municipalità direttamente gestite (Pechino, Shanghai e Tianjin); al secondo livello vi sono le prefetture, le contee e le municipalità; al terzo le suddivisioni municipali e i villaggi.
Partiti politici
In base alla costituzione del 1982, la Cina è una dittatura socialista del proletariato sotto la guida del Partito comunista responsabile dell’attività politica nazionale. Il suo organo supremo è il Congresso nazionale; il Comitato centrale, eletto dal Congresso nazionale, elegge il Politburo (russo, “ufficio politico”), la Commissione permanente e il segretario generale. Il potere è esercitato dal Politburo e dalla Commissione permanente.
Nel paese sono attivi anche alcuni partiti politici minori e organizzazioni di massa, quali la Lega cinese democratica, la Federazione atletica cinese e la Federazione di tutte le donne cinesi, ma l’unico gruppo politicamente influente è la Lega della gioventù comunista che agli inizi degli anni Novanta contava 50 milioni di membri.
Reperti archeologici scoperti nelle vicinanze di Pechino attestano l’esistenza dell’Homo erectus in quella regione 460.000 anni fa. Verso il 5000 a.C. una civiltà agricola sorse in Cina orientale nella valle dello Huang He: essa sviluppò le due cosiddette culture della terracotta, la cultura Yang Shao (3950 ca. – 1700 ca. a.C.) e la cultura di Longshan (2000 ca. – 1850 ca. a.C.).
Le prime dinastie
La tradizione vuole che la prima dinastia cinese ereditaria fosse la dinastia Xia (1994 ca. – 1766 ca. a.C.). Tuttavia, è la dinastia Shang quella di cui si hanno i più antichi reperti storici.
La dinastia Shang (1766-1027 a.C.)
La dinastia Shang regnò sul territorio delle attuali province centrosettentrionali di Henan, Hubei e Shandong. Dal 1384 a.C. la capitale fu Anyang, vicino al confine settentrionale della provincia dello Henan. La società Shang era di tipo aristocratico, con un’economia prevalentemente agricola. Il re governava, al vertice di una nobiltà militare, ed era coadiuvato da una classe sacerdotale istruita, cui era delegata la responsabilità dell’amministrazione e della divinazione.
Secondo la tradizione, l’ultimo monarca Shang fu spodestato dal re di Chou, uno stato situato nella valle del fiume Wei, ai confini nordoccidentali dei domini Shang. La cultura Chou fu una miscela degli elementi fondamentali della civiltà Shang e di alcune tradizioni marziali caratteristiche dei popoli non appartenenti all’etnia han del Nord e dell’Ovest.
La dinastia Chou (1027 ca. – 256 a.C.)
Sotto la dinastia Chou la capitale fu trasferita a Hao, presso la moderna Xi’an e, al culmine del suo potere, i territori da essa dominati si estendevano verso sud fino ad attraversare lo Chang Jiang; verso nord-est fino all’attuale Liaoning; a ovest fino al Gansu e a est fino allo Shandong. Per governare un così vasto territorio fu creata una gerarchia di vassalli che col tempo divennero sempre più autonomi.
I re Chou riuscirono a mantenere il controllo sui loro domini fino al 770 a.C., anno in cui molti stati si ribellarono e, con l’aiuto di popolazioni turco-tanguse, li scacciarono dalla capitale. I Chou si ritirarono a est, stabilendo una nuova capitale a Luoyi.
Il periodo dei Chou orientali diede alla cultura cinese i suoi tratti fondamentali. Le necessità legate al governo imperiale furono all’origine del confucianesimo; le antiche forme religiose furono raccolte nel taoismo. Dal secolo VIII al III a.C., nonostante l’estrema instabilità politica e il quasi ininterrotto stato di guerra, si ebbero una rapida crescita economica e profondi mutamenti sociali: i raccolti, più abbondanti, sostennero un costante aumento demografico; alcuni signori smisero di mantenere schiavi e affittarono le loro terre a contadini tenutari; la maggiore ricchezza favorì il sorgere di un’influente classe mercantile.
I rapporti tra i singoli stati divennero comunque sempre più instabili. Nel VI secolo a.C. sette di essi, molto estesi, erano egemoni e in una situazione di relativo equilibrio rispetto a stati meno importanti posti nelle pianure centrali delle regioni del Nord. Nel 403 – e fino al 221 a.C. – la Cina entrò nel periodo detto dei Regni combattenti, nel corso del quale si svilupparono nuove tecniche belliche, come l’uso di soldati a cavallo (appreso dalle tribù del Nord), dell’arco, dell’assedio.
Creazione dell’impero
Durante il IV secolo a.C. il regno di Ch’in, uno stato periferico del Nord-ovest, avviò un ambizioso programma di riforme amministrative, economiche e militari e, estintosi del tutto il potere dei Chou (256 a.C.) nell’arco di una generazione, riuscì a soggiogare tutti gli altri Regni combattenti.
La dinastia Ch’in (221 – 206 a.C.)
Nel 221 a.C. il re dei Ch’in si autoproclamò Shi Huangdi, o primo imperatore della dinastia Ch’in (che diede il nome alla Cina).
Egli seppe fondere la molteplicità di staterelli feudali in un impero centralizzato amministrativamente e unificato culturalmente. Le aristocrazie ereditarie furono abolite e i loro possedimenti furono divisi in province governate da funzionari di nomina imperiale; furono adottati sistemi standardizzati di scrittura, di pesi e misure e di moneta; fu introdotta la proprietà privata delle terre e furono imposte leggi e tasse. La ricerca di uniformità culturale portò i Ch’in a mettere al bando le contrastanti scuole filosofiche fiorite durante il tardo periodo Chou, e dare riconoscimento ufficiale al solo legalismo (vedi Confucianesimo).
Il primo imperatore favorì una politica di conquista. Le sue armate marciarono fino al delta del Fiume Rosso, nell’attuale Vietnam, estendendo il regno fino a comprendere parte dell’attuale Corea. La più nota impresa dei Ch’in fu comunque il completamento della Grande Muraglia.
Le conquiste territoriali, la costruzione della Muraglia e altre imponenti opere pubbliche furono realizzate con enorme impegno di risorse e di vite umane. Il peso sempre più oneroso delle tasse, del servizio militare e dei lavori forzati finì col generare tra la gente comune una profonda avversione al regime.
La dinastia Han occidentale (206 a.C. – 9 d.C.)
Dalla turbolenza e dalle guerre che segnarono gli ultimi anni della dinastia Ch’in, emerse Liu Bang (in seguito conosciuto con il titolo di Gao Zu) che dopo avere sconfitto gli altri contendenti al trono, si autoproclamò imperatore nel 206 a.C. La dinastia Han, che egli fondò, governò per quattro secoli e da subito seppe intervenire sulle condizioni che avevano prodotto la caduta dei Ch’in; furono abrogate le leggi più gravose, ridotte drasticamente le tasse e fu adottata una politica di tolleranza nel tentativo di promuovere la ripresa economica, benché le terre dell’impero Han fossero mantenute sotto il diretto controllo imperiale.
La prima dinastia Han raggiunse l’apice della potenza sotto l’imperatore Wu-ti, che regnò dal 140 all’87 a.C. su quasi tutto il territorio dell’attuale Cina. L’impero cinese raggiunse la Manciuria del Sud e il regno coreano di Chao-hsien, penetrò il territorio dell’attuale Kazakistan, e stabilì colonie attorno al delta dello Xi Jiang, nell’Annam e in Corea.
La politica di espansionismo esaurì le risorse finanziarie, di conseguenza furono nuovamente aumentate le tasse e ripresi i monopoli di stato. Durante il I secolo a.C. l’incompetenza e la faziosità indebolirono il governo imperiale e i grandi proprietari terrieri delle province acquisirono la virtuale esenzione dalle tasse.
La dinastia Xin (9-23 d.C.)
Un cortigiano ambizioso, Wang Mang, ucciso l’imperatore ancora infante, stabilì la breve dinastia Xin. Egli cercò di rafforzare il governo imperiale nazionalizzando le terre e ridistribuendole tra coloro che effettivamente le coltivavano ma il suo proposito naufragò di fronte alla strenua opposizione della classe dei proprietari terrieri. La crisi agricola si intensificò e nella Cina del Nord scoppiò una ribellione, capeggiata da un gruppo noto come Sopraccigli rossi, cui subito si unirono le famiglie dei grandi possidenti; i ribelli riuscirono a uccidere Wang Mang e a ristabilire il regime della dinastia Han.
La dinastia Han orientale (25-220 d.C.)
La seconda dinastia Han ristabilì il dominio cinese in Asia centrale e, grazie al controllo acquisito sulla Via della Seta, il commercio divenne di nuovo fiorente. La nuova dinastia rivelò presto debolezze e inefficienze amministrative tali che tra il 168 e il 170 scoppiò una guerra tra gli eunuchi e i burocrati. Nel 184 scoppiarono inoltre due rivolte contadine, guidate da gruppi religiosi taoisti. Le famiglie dei grandi proprietari terrieri, approfittando della debolezza del governo imperiale, si dotarono di eserciti privati. Alla fine, nel 220, uno dei più valorosi generali dell’impero Han si impossessò del trono e diede inizio alla dinastia Wei (220-265). La sua autorità fu però presto messa in discussione da altri capi militari: la dinastia Shu (221-263) fu stabilita nella Cina sudoccidentale, mentre una dinastia Wu (222-280) comparve nel Sud-est. Queste tre dinastie, dette Tre Regni Militari, si trovarono in costante conflitto. Nel 265 Sima Yan (un generale Wei) usurpò il trono e stabilì la dinastia Chin occidentale (265-317); entro il 280 egli aveva già riunito il Nord e il Sud della Cina sotto il suo regno, ma alla sua morte (290) l’impero tornò a sgretolarsi, nuovamente preda degli interessi delle famiglie che possedevano le terre.
Le tribù turco-mongole del Nord approfittarono della debolezza del governo per acquisire nuovi pascoli nel fertile bassopiano cinese. Le invasioni iniziarono nel 304 e si succedettero ininterrottamente per quasi tre secoli. Nel Sud del paese si susseguirono quattro dinastie cinesi, tutte accentrate attorno all’area dell’attuale città di Nanchino. Ancora a nord, da una delle popolazioni della steppa protagoniste da decenni dell’invasione di quelle regioni, nel 386 sorse la dinastia turca dei Tabgac Wei, capace di estendere il proprio potere su tutto il bassopiano cinese e avviare l’ennesimo processo di riunificazione dell’impero. Alle altre tribù di frontiera fu riconosciuta ampia autonomia in cambio dell’obbligo del servizio militare; a corte furono adottati usi, costumi e abbigliamento di stile cinese, e il cinese divenne la lingua ufficiale. Nel 534 la ribellione dei capi tribù all’autorità centrale dell’imperatore determinò la fine della dinastia.
La riunificazione del paese
La Cina fu effettivamente riunificata sotto il dominio della dinastia Sui (589-618). Il soldato Yang Chien riuscì a usurpare il trono di quello che era stato il dominio dei Tabgac Wei, e a controllare anche la parte meridionale del paese stabilendo la sua capitale a Chang’an (attuale Xi’an). Per quanto breve, il periodo Sui fu molto importante: riprese forma un sistema amministrativo centralizzato; rifiorirono il confucianesimo, il taoismo e il buddhismo; la Grande Muraglia fu restaurata e fu avviata la costruzione di un complesso sistema di canali (nucleo originario del futuro Grande Canale) per trasportare i prodotti agricoli del delta dello Chang Jiang a Loyang e nel Nord. Fu riaffermato il controllo cinese sul Vietnam settentrionale e, in misura più limitata, sulle tribù dell’Asia centrale. Tuttavia, lunghe e costose campagne condotte nella Manciuria meridionale (605) e nella Corea settentrionale (612-614) si risolsero in una sconfitta dell’imperatore Yang-ti, rovesciato poco dopo (617) da ribelli guidati da Li Yuan.
La dinastia Tang (618-907)
Il periodo della dinastia Tang, fondata da Li Yuan (in seguito denominato Gaozu), fu uno dei più grandi della storia della Cina. Governo e amministrazione furono ristrutturati e accentrati. I domini cinesi furono estesi a nord e a ovest, e già a metà del VII secolo la dinastia si era affermata come grande potenza euroasiatica, mantenendo relazioni diplomatiche con Bisanzio e il Giappone.
Proprio i legami internazionali resero la Cina dei Tang prospera quanto cosmopolita. Nelle città le comunità mercantili provenienti dall’Asia centrale e dal Medio Oriente introdussero nuovi modelli culturali e nuove religioni (l’Islam, l’ebraismo, il nestorianesimo, lo zoroastrismo e il manicheismo). A partire dalla metà dell’VIII secolo, il commercio marittimo con i paesi dell’Asia sudorientale iniziò a superare in volume quello della Via della Seta con l’Asia centrale. Nel IX secolo le navi cinesi si spinsero fino all’oceano Indiano e al golfo Persico, trasportando sete e ceramiche e stabilendo ovunque comunità di mercanti. Sotto i Tang si assistette inoltre a una grande fioritura delle arti.
Alla metà dell’VIII secolo, tuttavia, all’apice del suo splendore, il potere dei Tang dovette confrontarsi con una devastante rivolta capeggiata dal generale di frontiera An Lu-shan. La repressione della rivolta, pur riuscita (763), sembrò esaurire tutte le energie della dinastia regnante, peraltro non più in grado di controllare i suoi governatori militari di frontiera, impegnati negli ultimi vent’anni di regno in continue lotte per la supremazia.
La frammentazione del tessuto politico ed economico che seguì al crollo della dinastia Tang portò a un periodo di disunione noto come Periodo delle Cinque Dinastie e dei Dieci Stati Indipendenti (907-960). Nel suo corso, la dinastia mongola-khitana dei Liao (907-1125) si stabilì in Manciuria e in Mongolia estendendo la sua influenza su alcune parti delle province settentrionali di Hebei e Shaanxi; Pechino divenne la capitale del loro impero.
Maturità culturale e dominazione straniera
La dinastia Sung (fondata nel 960 d.C. da Chao K’uang-yin, comandante della guardia di palazzo del regno dei Chou settentrionali insediato sul trono dalle truppe con il titolo imperiale di T’ai-tsu) riuscì a porre fine al cinquantennio di lotte intestine seguito al crollo della dinastia Tang. Quest’epoca viene comunemente suddivisa nel periodo dei Sung del Nord (960-1126), in cui la capitale fu stabilita a Kaifeng, e in quello dei Sung del Sud (1127-1279), la cui capitale fu Hangzhou.
La dinastia Sung (960-1279)
Imposto il proprio potere ai comandanti militari, i sovrani Sung favorirono lo sviluppo agricolo; particolare attenzione fu riservata allo sviluppo di progetti per la conservazione delle risorse idriche, al raddoppio dei raccolti, all’espansione della coltivazione del cotone. Fiorirono inoltre l’artigianato e la tecnologia, e tutto questo portò a un’espansione del commercio, con l’apertura di nuove vie di comunicazione. In particolar modo i commercianti cinesi tornarono a spingersi oltre i confini del loro paese, sia via terra lungo la Via della Seta sia per nave fino al Mediterraneo.
Una minaccia costante fu però rappresentata dagli imperi confinanti: a nord e a ovest la dinastia mongolo-khitana (907-1125) di Liao espugnò Hebei ed Hedong e costrinse i sovrani Sung a riconoscerle le precedenti acquisizioni della Manciuria e della Mongolia interna (1005). Nel 1125 l’impero Liao venne a sua volta vinto dalla dinastia tungusa dei Jin, che l’anno seguente allontanarono i Sung dai loro domini settentrionali spingendoli a sud, dove questi diedero vita al regno dei Sung meridionali.
Nel 1206 tutte le tribù mongole si unirono sotto la guida di Gengis Khan e iniziarono una campagna di conquiste che diede origine al più grande impero del tempo. In Cina cadde per prima la dinastia Jin: Gengis Khan espugnò Pechino nel 1215 per poi estendere il suo dominio su tutta la Cina del Nord. La conquista del regno dei Sung del Sud fu invece completata nel 1279, dopo quarant’anni di guerra, da Kublai Khan.
La dinastia Yuan (1279-1368)
Kublai spostò la capitale mongola nei pressi della moderna Pechino, e da lì regnò su un impero esteso dall’Europa orientale alla Corea, dalla Siberia del Nord ai confini settentrionali dell’India, impiegando nel governo l’apparato amministrativo dei Sung. Sotto il regno della dinastia mongola – detta degli Yuan – si intensificò il traffico sulle vie commerciali dell’Asia centrale, controllate interamente dai mongoli. La Cina fu raggiunta da missionari e commercianti occidentali, tra i quali il mercante veneziano Marco Polo. Tuttavia nel paese cresceva il malcontento. La classe degli ex funzionari confuciani era irritata dalle proscrizioni che impedivano ai cinesi di ricoprire incarichi importanti, mentre il peso delle tasse alienò ai governanti l’appoggio della classe contadina. A partire dal 1340 si ebbero insurrezioni in quasi tutte le province imperiali; nel corso di una di queste il capo ribelle Chu Yüan-chang (ex monaco buddhista), riuscì a estendere il suo potere su tutta la valle del Chang Jiang, e da lì nel 1371 marciò verso nord e prese Pechino. I mongoli dovettero ritirarsi nella madrepatria, da dove non smisero tuttavia di rappresentare una minaccia.
Potere imperiale
Due grandi dinastie dominarono la storia cinese dopo l’ascesa di Chu, che assunse il nuovo nome di Hung-wu.
La dinastia Ming (1368-1644)
La dinastia Ming, della quale Chu fu il fondatore, stabilì inizialmente la capitale a Nanchino, ripristinando la civiltà tradizionale dei periodi Tang e Sung. La Grande Muraglia e il Grande Canale furono ampliati. L’impero fu suddiviso in 15 province, ognuna amministrata da tre commissari responsabili delle finanze, degli affari militari e delle questioni giuridiche. I primi Ming ristabilirono inoltre la pratica dei tributi da parte degli stati vassalli. Già nei primi anni del XV secolo le tribù della Mongolia furono sconfitte e la capitale riportata a Pechino. Le numerose spedizioni navali intraprese resero manifesta a tutto il Sud-Est asiatico la potenza dei sovrani Ming. Dalla metà del XV secolo, tuttavia, il loro potere iniziò a declinare; gli eunuchi di corte giunsero a esercitare un forte controllo sull’imperatore, fomentando il malcontento e la faziosità all’interno del governo; le casse imperiali furono prosciugate dalle spese per la difesa contro i mongoli e contro l’invasione giapponese della Corea tentata da Toyotomi Hideyoshi nel 1590. Proprio in questo momento di difficoltà, si verificarono i primi scambi commerciali via mare tra la Cina e il mondo occidentale (con i portoghesi, nel 1514; con le colonie spagnole nelle Filippine a partire dal 1570; nel 1619 con gli olandesi stabilitisi a Taiwan). Nella seconda metà del XVI secolo i missionari gesuiti giunsero in Cina dall’Europa, ma non riuscirono a diffondere né il cristianesimo, né il pensiero scientifico occidentale.
La caduta dei Ming fu anticipata da una ribellione popolare nello Shaanxi. Quando i ribelli raggiunsero Pechino nel 1644, il comandante delle forze imperiali decise di respingere i loro attacchi ricorrendo all’aiuto dei guerrieri manciù che però, vittoriosi, si rifiutarono di lasciare Pechino, costringendo i Ming a ritirarsi nel Sud della Cina, ove cercarono, invano, di ristabilire il loro regime.
La dinastia Manciù o Ching (1644-1912)
Sotto i sovrani manciù, la potenza dell’impero cinese raggiunse l’apice della sua storia bimillenaria per poi crollare sotto la duplice spinta della crisi del sistema di governo e delle pressioni esterne. I manciù assorbirono la cultura cinese, acquisendo in particolare le strutture politico-amministrative dei Ming, altamente centralizzate, con al vertice un Gran Consiglio che si occupava degli affari politici e militari dello stato sotto la diretta supervisione dell’imperatore.
Entro la fine del XVII secolo, i Ching avevano eliminato ogni traccia di opposizione Ming e soffocato una rivolta guidata da generali cinesi cui era stato affidato il governo di territori semiautonomi nel Sud. Con il regno dell’imperatore Ch’ien Lung a metà del secolo successivo, la dinastia giunse all’apogeo del potere, con il pieno controllo di Manciuria, Mongolia, Xinjiang e Tibet; Nepal e Birmania (l’attuale Myanmar) inviavano periodicamente tributi alla corte Ching, così come le isole Ryukyu, la Corea e il Vietnam del Nord; Taiwan fu incorporata al territorio metropolitano cinese.
Il XVIII secolo fu anche un periodo di ordine, pace e prosperità senza precedenti nella storia della nazione. La popolazione raddoppiò e ciò pose le premesse della crisi, poiché la produzione agricola risultò insufficiente. Inoltre, le risorse finanziarie del governo furono gravemente intaccate dai costi di una politica di espansionismo, e il mantenimento di truppe manciù stanziate in tutto il territorio cinese rappresentò un pesante capitolo di spesa.
I manciù accettarono loro malgrado di stringere relazioni commerciali con l’Occidente. Il permesso di effettuare scambi con l’estero fu inizialmente circoscritto al porto di Canton e a un numero limitato di mercanti cinesi. L’Inghilterra comprava ingenti quantità di tè che pagava in argento; ma quando i mercanti inglesi introdussero in Cina l’oppio indiano, attorno al 1780, questo mercato si sviluppò in maniera rapidissima, facendo crollare l’economia cinese.
Pressioni esterne
Il XIX secolo si aprì così all’insegna della crisi irreversibile del sistema di governo imperiale e del costante intensificarsi delle pressioni occidentali e giapponesi per una maggiore apertura dei mercati cinesi. Fu la questione delle relazioni commerciali tra Cina e Gran Bretagna a dare origine al primo serio conflitto. Gli inglesi erano ansiosi di estendere i loro scambi commerciali ben oltre la provincia circostante Canton; dal canto suo la Cina non aveva alcun interesse a incrementare le proprie attività commerciali con l’Occidente; piuttosto intendeva risolvere la questione del traffico d’oppio, che stava minando le basi morali e finanziarie dell’impero. Nel 1839 funzionari cinesi confiscarono e distrussero enormi quantitativi di oppio stivati nelle navi inglesi all’ancora nel porto di Canton, e imposero controlli severissimi alla comunità mercantile inglese della città. Il rifiuto inglese di adeguarsi a queste disposizioni portò all’aprirsi delle ostilità.
Guerre commerciali e trattati ineguali
La prima guerra dell’Oppio si concluse nel 1842 con la sconfitta della Cina e l’ottenimento da parte della Gran Bretagna dei privilegi commerciali che cercava; nel corso dei due anni successivi, Francia e Stati Uniti riuscirono a imporre a Pechino una serie di trattati analoghi. Una seconda guerra dell’Oppio (1856-1860) estese ulteriormente i vantaggi concessi ai commerci occidentali, ratificati però solo dopo che un corpo di spedizione franco-britannico prese stanza a Pechino.
Questi trattati, noti come “trattati ineguali”, avrebbero regolato i rapporti tra cinesi e occidentali fino al 1943, cambiando il corso dello sviluppo sociale ed economico cinese e segnando definitivamente il destino della dinastia Manciù. In forza delle clausole imposte dai trattati, i porti cinesi furono aperti al commercio estero e ai residenti; Hong Kong e Kowlojon furono cedute permanentemente alla Gran Bretagna; a tutti gli stranieri in Cina fu garantito il diritto a essere processati nei propri consolati e in base alle leggi dei rispettivi paesi; tutti i trattati comprendevano una clausola della “nazione-più-favorita”, in base alla quale qualsiasi privilegio concesso dalla Cina a un determinato paese veniva automaticamente esteso a tutti gli altri paesi firmatari. I trattati fissavano inoltre un limite del 5% alle tasse di importazione sui prodotti; scopo di questa clausola era prevenire l’imposizione di eccessive tasse doganali la cui mancanza, tuttavia, impedì alla Cina di proteggere l’industria nazionale e di promuovere la modernizzazione economica.
La ribellione dei taiping
A metà del XIX secolo le fondamenta dell’impero furono scosse dalla rivolta dei taiping, una rivoluzione popolare di carattere religioso, sociale ed economico guidata da Hong Xiuquan, autoproclamatosi fratello minore di Gesù, con il mandato divino di liberare la Cina dal dominio manciù e di stabilirvi una dinastia regnante cristiana. La ribellione scoppiò nella provincia di Guangxi dal 1849 al 1851, e nel 1853 si estese verso nord. I taiping stabilirono la propria capitale a Nanchino dopo essere stati fermati nella loro avanzata verso Pechino; nel 1860 erano ormai saldamente insediati nella valle del Chang Jiang, e minacciavano di prendere Shanghai.
La dinastia Manciù modificò la propria politica nell’intento di far sopravvivere l’impero. Dal 1860 al 1895 furono numerosi i tentativi di risolvere i problemi sociali ed economici interni, adottando tecnologie e sistemi di governo occidentali per rafforzare il potere dello stato; nel contempo, tutte le ribellioni (compresa quella dei taiping) furono soffocate con la forza, e la pace civile restaurata. Tuttavia, la classe dei funzionari centrali rimase culturalmente inadeguata al compito, scarsamente interessata a un programma di modernizzazione del paese, così che i tentativi della Cina di rivedere radicalmente la propria realtà non ebbero successo.
La spartizione in sfere di influenza
Nel 1875 le potenze occidentali e il Giappone iniziarono a smantellare il sistema cinese degli stati tributari del Sud-Est asiatico. Le Ryukyu furono poste sotto il controllo giapponese; la guerra franco-cinese del 1884-1885 incorporò l’Annam nell’impero coloniale francese, mentre l’anno successivo la Gran Bretagna subentrò definitivamente, in Birmania, all’impero cinese. Nel 1860 la Russia conquistò le province marittime della Manciuria settentrionale e le zone a nord del fiume Amur. Nel 1894 gli sforzi giapponesi di togliere alla Cina la sovranità sulla Corea provocarono la guerra sino-giapponese, nella quale l’impero celeste patì una pesante sconfitta (1895) che lo costrinse a riconoscere l’indipendenza della Corea e a cedere al Giappone l’isola di Taiwan e la penisola del Liaodong, nella Manciuria meridionale.
Le potenze occidentali reagirono immediatamente, esigendo che il Giappone restituisse la penisola del Liaodong in cambio di una considerevole indennità di guerra. Nel 1898, incapace di far fronte alle molteplici pressioni di cui era oggetto, la Cina era ormai stata divisa di fatto in diverse zone di influenza economica. Alla Russia fu concesso di costruire ferrovie attraverso la Manciuria e la penisola del Liaodong, oltre a una serie di diritti economici esclusivi su tutto il territorio della Manciuria. Altri diritti esclusivi sullo sviluppo di ferrovie e di giacimenti minerari furono concessi alla Germania nella provincia dello Shandong, alla Francia nelle province meridionali di confine, alla Gran Bretagna nelle province rivierasche del Chang Jiang e al Giappone nelle province costiere del Sud-est. A seguito della guerra russo-giapponese del 1904-1905, i diritti russi sulla Manciuria meridionale furono trasferiti al Giappone. Gli Stati Uniti, nel tentativo di preservare i loro diritti senza entrare in conflitti territoriali, lanciarono la politica della porta aperta (1899-1900): la posizione paritaria di tutte le nazioni sul territorio cinese non avrebbe in nessun modo dovuto essere mutata, ovvero, nessuna nazione avrebbe potuto esercitare alcun diritto di prelazione rispetto alla libertà di accesso nei porti cinesi, dando così alle potenze europee eguali diritti commerciali entro le sfere d’influenza.
I movimenti riformatori e la rivolta dei Boxer
Nel 1898 un gruppo di riformatori illuminati mise a punto un programma di riforme in grado di trasformare la Cina in un’efficiente monarchia costituzionale moderna. Ufficiali manciù appoggiati dall’imperatrice madre Cixi (Tz’u Hsi) sequestrarono però l’imperatore, e con l’aiuto di militari lealisti soffocarono il movimento di riforma. Dopo che nel 1900 la xenofoba rivolta dei Boxer sostenuta dagli ambienti di corte fu stroncata da un corpo di spedizione occidentale inviato a Pechino, il partito tradizionalista di corte ebbe modo di misurare l’inconsistenza della politica reazionaria adottata e, ormai in ritardo, varò un piano di riforme sul modello di quello che aveva radicalmente cambiato il volto del Giappone (1902). Proprio la disfatta nella guerra sino-giapponese favorì Sun Yat-Sen nella sua propaganda rivoluzionaria in favore dell’instaurazione in Cina di un governo repubblicano e progressista. Nell’ottobre del 1911 una rivolta scoppiò ad Hankou, nella Cina centrale, per diffondersi subito in tutte le province dell’impero. Il capo di stato maggiore imperiale, generale Yuan Shikai (Yüan Shih-k’ai), trattò con i ribelli, e il 14 febbraio 1912 un’assemblea rivoluzionaria riunita a Nanchino lo acclamò primo presidente della neocostituita Repubblica di Cina.
La Repubblica cinese
Nonostante l’adozione di una costituzione e l’insediamento di un parlamento nel 1912, Yuan Shikai non permise mai un vero controllo sul suo operato. Quando il nuovo partito nazionalista del Guomindang guidato da Sun Yat-Sen tentò di limitare il potere di Yuan prima con l’azione parlamentare, poi con un tentativo di ribellione (1913), questi sciolse il parlamento e dichiarò fuorilegge il movimento. Alla sua morte, avvenuta nel 1916, il potere politico passò nelle mani dei cosiddetti Signori della Guerra, mentre il governo centrale mantenne un’esistenza fittizia durante tutto il 1927.
Nel corso della prima guerra mondiale, il Giappone ridusse la Cina a protettorato (1915). La tardiva entrata in guerra della Cina a fianco degli Alleati nel 1917 ebbe l’unico scopo di assicurare al paese un posto al tavolo della pace e un’opportunità di contrastare le ambizioni giapponesi. A Versailles il presidente americano Woodrow Wilson si mostrò troppo interessato a dar vita alla Società delle Nazioni per permettersi di affrontare in modo adeguato il problema cinese e correre così il rischio di perdere il sostegno del Giappone.
Il Guomindang e l’ascesa del Partito comunista
Delusi dal cinismo mostrato dalle potenze occidentali, i cinesi rivolsero la loro attenzione all’Unione Sovietica, rappresentata in patria dal Partito comunista cinese, fondato a Shanghai nel 1921 e che contava tra i suoi primi membri Mao Zedong. Nel 1923 Sun Yat-Sen accolse i consigli sovietici relativi alla riorganizzazione del fatiscente Guomindang e delle sue deboli forze militari, ammettendo membri comunisti nel direttivo del partito, che dopo la morte di Sun venne guidato dal generale Chiang Kai-shek. Questi nel 1926, dalla base militare del partito a Canton, iniziò la campagna di liberazione nazionale dal potere dei Signori della Guerra. Nel contempo, a partire dal 1928, Chiang rovesciò la linea del suo predecessore e condusse una sanguinosa epurazione dei membri comunisti del partito.
I problemi di Chiang
Il nuovo governo nazionale, stabilito dal Guomindang a Nanchino nel 1928, dovette così affrontare l’opposizione dei Signori della Guerra e agli inizi degli anni Trenta la rivolta comunista scatenata da Mao Zedong; egli, con i capi comunisti Chou En-Lai e Che-teh, costituì, nella zona montana dello Jangxi, una Repubblica sovietica cinese sostenuta da un forte esercito e appoggiata dai contadini, attratti dalla prospettiva di una riforma agraria. Infine, il nuovo governo di Chiang dovette far fronte all’aggressione giapponese in Manciuria e nella Cina settentrionale, sfociata nel 1931-1933 nella creazione dello stato-fantoccio del Manchukuo, formalmente affidato alla guida di Pu Yi, ultimo sovrano manciù, che assunse il titolo di imperatore.
Nel tardo 1934 Chiang Kai-shek riuscì a circondare l’Armata Rossa nello Jiangxi ma i comunisti, rotto l’assedio al termine della cosidetta Lunga marcia, riuscirono a trasferirsi nella provincia settentrionale dello Shaanxi. Allarmato dall’avanzata giapponese, un gruppo di ufficiali obbligò Chiang a stringere un momentaneo patto d’azione antigiapponese con i comunisti, sospendendo la guerra civile.
Seconda guerra mondiale
Nel 1937 le ostilità tra Giappone e Cina sfociarono in una vera e propria guerra. Entro il 1938 il Giappone aveva invaso la maggior parte della Cina nordorientale, la valle del Chiang Jiang fino ad Hankou, e il territorio di Canton, sulla costa sudorientale. Il Guomindang spostò la capitale e gran parte dell’esercito nell’entroterra, nella provincia sudoccidentale di Sichuan. Durante la seconda guerra mondiale i comunisti, dalla base di Yan’an, occuparono gran parte del territorio della Cina del Nord infiltrandosi in molte zone rurali a ridosso delle linee giapponesi. Riuscirono a conquistarsi l’appoggio dei contadini locali, consolidarono le basi del partito e dell’Armata Rossa, aumentandone sensibilmente le fila.
Lotta per la supremazia tra il Guomindang e il Partito comunista
Nel 1945, subito dopo la resa del Giappone, la guerra civile riprese, nonostante un tentativo di mediazione operato dal generale americano George Marshall, che dopo circa un anno dovette rinunciare all’impresa (1947). Nel 1948 l’iniziativa militare passò ai comunisti, e nell’estate del 1949 la resistenza nazionalista crollò. Chiang e i suoi cercarono rifugio sull’isola di Taiwan, mentre il 1° ottobre 1949 veniva proclamata ufficialmente la Repubblica Popolare Cinese.
La Repubblica Popolare
Il nuovo regime, imperniato sui principi del Partito comunista cinese e del maoismo, diede vita a una struttura di governo fortemente centralizzata.
Trasformazione della società
Obiettivo prioritario del nuovo regime fu la trasformazione della Cina in una società socialista.
Per ristrutturare radicalmente l’economia, distrutta da decenni di guerre interne, i comunisti adottarono misure rigorose nel controllo dell’inflazione, organizzarono gli agricoltori in cooperative e si impegnarono a fondo in un programma teso ad aumentare la produzione nelle campagne, mentre l’industria veniva gradualmente statalizzata. Una riforma agraria generale fu messa a punto nel 1950, seguita dalla creazione di fattorie collettivizzate. Il primo piano quinquennale industriale del 1953 (programmato con l’assistenza sovietica) fu incentrato sull’industria pesante, a scapito della produzione di generi di largo consumo.
Politica estera
Cina e Unione Sovietica sottoscrissero trattati di amicizia e di alleanza nel 1950, 1952 e 1954. Durante la guerra di Corea truppe cinesi intervennero a sostegno del regime comunista nordcoreano contro le forze dell’ONU, mentre dopo la tregua del 1953 Pechino intensificò il flusso di aiuti militari ai ribelli comunisti che combattevano contro i francesi in Vietnam.
Pechino, inoltre, si apprestò a conquistare aree territoriali considerate storicamente cinesi e di importanza strategica fondamentale: nel 1950 truppe cinesi invasero il Tibet; nel 1954 iniziò il bombardamento dell’isola di Quemoy, controllata dai nazionalisti; più tardi fu la volta di altre isole, tra le quali Matsu, fatta evacuare nel 1955.
Il Grande balzo in avanti
Nel 1956 fu portata a termine l’organizzazione collettivistica dell’agricoltura con la creazione delle comuni del popolo, unità socioeconomiche e amministrative di base, con limitata autonomia decisionale, chiamate a dare attuazione ai programmi produttivi stabiliti dalle autorità centrali. Due anni dopo fu varato un piano generale di sviluppo economico a tappe forzate. Slogan del programma era l’effettuazione di un Grande balzo in avanti, ma il piano portò al conseguimento di risultati modesti a causa dell’inadeguata pianificazione e di una direzione incerta.
Progressivo isolamento
La situazione peggiorò nel 1960 con la sospensione dell’assistenza economica e tecnica da parte dell’Unione Sovietica. Tra le due potenze comuniste erano infatti emersi contrasti ideologici; i cinesi erano particolarmente critici verso il leader sovietico Nikita Kruscev, accusato di revisionismo e di tradimento degli ideali marxisti-leninisti. Pechino iniziò a proporre apertamente la propria leadership come alternativa a quella sovietica nel mondo comunista, puntando soprattutto a ottenere consensi tra le nazioni non-allineate. Tuttavia, le azioni aggressive perpetrate nello stesso periodo non facilitarono questa politica: nel 1959 truppe cinesi occuparono territori appartenenti all’India; i negoziati che seguirono si rivelarono inconcludenti, e le ostilità ripresero nel 1962 quando, nuovamente, forze cinesi violarono le frontiere indiane (vedi Guerra sino-indiana). Nel Sud-Est asiatico i comunisti cinesi offrirono invece sostegno morale e assistenza tecnica alle insurrezioni nel Laos e in Vietnam.
Il movimento dei cento fiori
Il fallimento delle riforme economiche diede spazio a linee politiche alternative a quelle del Grande Timoniere (soprannome attribuito a Mao). Nel maggio del 1956 fu lanciata una campagna che incitava i cinesi a “lasciar fiorire cento fiori diversi, e lasciar confrontarsi cento diverse scuole di pensiero”. La popolazione più istruita raccolse l’invito a manifestare apertamente la propria opinione. Nel giugno del 1957, il governo introdusse rigidi controlli sulla libertà di espressione e arrestò o costrinse all’esilio molti intellettuali.
La grande rivoluzione culturale proletaria
Le divergenze tra Mao e il partito dei moderati pragmatisti si intensificarono. Nel 1959, sostituito dal moderato Liu Shaoqi nella carica di capo dello stato, Mao conservò quella di presidente del partito. Il suo carisma ebbe però a soffrire del fallimento totale del grande balzo in avanti da lui ideato e fortemente voluto. La divergenza si trasformò in aperto contrasto nel 1966 quando Mao, sua moglie Chiang Ch’ing e altri suoi stretti collaboratori lanciarono lo slogan della “grande rivoluzione culturale proletaria” intesa a recuperare lo zelo rivoluzionario del primo comunismo cinese, perduto a causa dell’imborghesimento dei quadri di governo e dell’apparato burocratico del partito.
Gruppi di studenti autodenominatisi “guardie rosse della rivoluzione” invasero le strade, seguiti da giovani lavoratori, contadini e soldati in congedo, manifestando a favore di Mao e criticando ogni forma di autorità istituita. Intellettuali, burocrati, funzionari di partito, operai divennero oggetto di umiliazioni e violenze pubbliche, licenziamenti, e spesso furono forzati a lavori fisici abbrutenti. La struttura del partito fu annientata, e molti suoi alti funzionari (tra i quali il capo dello stato Liu e il segretario generale del partito Deng Xiao-ping) rimossi dai loro incarichi ed espulsi.
Nel biennio 1967-68 le lotte sanguinose tra maoisti e antimaoisti fecero migliaia di vittime. Alla fine il compito di ripristinare l’ordine venne demandato all’esercito, guidato da Lin Piao.
Nel frattempo la tensione tra Cina e URSS si era intensificata raggiungendo il culmine con le accuse di imperialismo mosse ai leader sovietici dopo l’invasione della Cecoslovacchia. Nel 1969, lungo il fiume Ussuri, in Manciuria, truppe cinesi attaccarono alcune guardie di confine sovietiche, creando una situazione che poteva rivelarsi esplosiva.
Gli ultimi anni di Mao
Alla luce di questi eventi, il IX Congresso del Partito comunista tenuto nell’aprile del 1969 cercò di riportare ordine nella situazione interna componendo la lotta di potere in corso da tempo ai vertici della nazione. Mao fu rieletto presidente del partito e il ministro della Difesa Lin Piao (scelto personalmente da Mao) venne indicato quale suo successore. Alcuni posti-chiave, tuttavia, vennero affidati a esponenti moderati fautori di politiche pragmatiche, come il primo ministro Chou En-Lai (unico vero antagonista di Mao per carisma personale e potere).
Un episodio clamoroso di queste poco decifrabili lotte intestine si ebbe nel 1971, quando Lin Piao morì vittima di un misterioso incidente aereo mentre, apparentemente, tentava la fuga dal paese. La preminenza politica di Chou En-Lai apparve sempre più evidente. Mao lanciò un nuovo appello diretto alle masse (1973-74) a difesa delle acquisizioni egualitarie della rivoluzione comunista e contro il “burocraticismo di partito”. Il radicalismo di Mao ebbe ancora modo di esprimersi nella nuova costituzione adottata dal IV Congresso nazionale del popolo nel gennaio del 1975; tuttavia nello stesso anno vi fu la nomina a vice primo ministro di Deng Xiao-ping, vittima riabilitata della rivoluzione culturale.
In questo periodo le relazioni internazionali della Cina migliorarono sensibilmente. Nel 1971 essa venne ammessa alle Nazioni Unite (ONU) subentrando alla Repubblica Cinese (Taiwan), ottenenendo un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. Nel 1972 il presidente americano Richard Nixon si recò in visita ufficiale a Pechino, aprendo così la strada a normali relazioni diplomatiche tra le due potenze (1973); quelle con il Giappone furono riprese nello stesso 1972.
I successori di Mao
Dopo la morte di Mao e Chou En-Lai nel 1976, si scatenò la lotta per il potere tra moderati e radicali. Questi ultimi riuscirono a impedire l’elezione a primo ministro di Deng Xiao-ping, che fu addirittura rimosso temporaneamente dagli incarichi di governo e di partito. Con un compromesso fra i due schieramenti, Hua Kuo-feng fu nominato primo ministro: sotto il suo governo prevalse la linea moderata. Per consolidare la propria posizione, Hua fece arrestare e accusare di diversi crimini i capi dell’estrema sinistra, la cosiddetta Banda dei Quattro; quindi si concentrò sullo sviluppo economico della nazione, affidandosi al “partito dei pragmatisti”. Nel 1977 Deng fu reintrodotto nelle sue funzioni di vicepremier, in base a un organigramma che venne confermato l’anno successivo dal V Congresso nazionale del popolo.
Relazioni estere
Mentre la politica interna cinese mutava, i rapporti con il Vietnam iniziarono a incrinarsi a causa del permanere dell’influenza sovietica nel paese e delle discriminazioni operate dai vietnamiti ai danni della minoranza cinese locale. Quando il Vietnam invase la Cambogia rovesciandone il governo filocinese (gennaio 1979), Pechino reagì occupando il territorio nazionale vietnamita. Anche se le forze d’occupazione si ritirarono dopo meno di tre mesi, la tensione tra i due paesi rimase elevata, soprattutto a causa della politica filosovietica adottata dal Vietnam.
Preoccupata dalla minaccia rappresentata dall’alleanza tra Unione Sovietica e Vietnam, la Cina intensificò la politica di apertura diplomatica verso le potenze occidentali e il Giappone, cui si accompagnarono le prime disponibilità in materia di economia, intese principalmente ad attrarne gli investimenti esteri.
Gli anni Ottanta
Deng e il resto dell’anziana classe di governo cinese assunsero in campo economico un atteggiamento decisamente meno dogmatico rispetto a quello conservato nelle questioni politiche. Il programma delle “quattro modernizzazioni” anticipò una serie di riforme economiche e di mutamenti di strategia indirizzati al rafforzamento e all’arricchimento del paese. Il “sistema della responsabilità casalinga” permise ai contadini di vendere a prezzi di mercato la produzione eccedente quella stabilita dalle quote governative. La Cina si aprì al commercio e agli investimenti esteri, entrando a far parte della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale nel 1980. Il risultato fu una crescita economica annuale media del 10% per tutto il decennio del 1980.
Nel 1980 Hua Kuo-feng si dimise dall’incarico di premier e fu sostituito da Zhao Ziyang, fedele sostenitore di Deng. In giugno un altro alleato di Deng, Hu Yaobang, sostituì Hua come responsabile del partito. Verso la fine degli anni Ottanta le contraddizioni delle politiche di Deng divennero però più evidenti. La liberalizzazione economica aveva dato origine a una forte inflazione, alimentata dall’emissione di quantitativi esagerati di moneta per sostenere il deficitario settore pubblico dell’economia cinese. Si intensificarono allora in tutto il paese le richieste di accompagnare le riforme economiche con riforme politiche democratiche.
Da piazza Tienanmen a oggi
Nel gennaio del 1987 Zhao Ziyang fu nominato segretario generale del Partito comunista in sostituzione di Hu Yaobang, costretto a dimettersi. Il mutamento ai vertici ebbe luogo dopo un’ondata di manifestazioni studentesche che rivendicavano maggiore democrazia e libertà di espressione. Il XIII Congresso del Partito comunista, che si aprì in ottobre, segnò il trionfo della corrente di Deng, ufficialmente ritiratosi dal Comitato centrale. Li Peng fu confermato primo ministro e ad altri esponenti della nuova generazione di giovani tecnocrati vennero assegnati incarichi elevati.
La morte di Hu Yaobang nell’aprile del 1989 fu seguita da una nuova ondata di dimostrazioni in nome della democrazia che si intensificò in maggio (in concomitanza della visita a Pechino del leader sovietico Michail Gorbaciov) con appelli al governo per una glasnost di stile sovietico. I manifestanti occuparono il centro della capitale fino alla mattina del 4 giugno, quando truppe lealiste dell’esercito, massacrando migliaia di civili, posero fine alle manifestazioni di piazza Tienanmen. Nella repressione politica che seguì, Zhao Ziyang fu spogliato dei suoi incarichi di partito, e Jiang Zemin divenne segretario generale. Deng fece il gesto di rinunciare alla sua ultima carica ufficiale nel marzo del 1990, ma conservò il potere effettivo, continuando a visitare le aree economiche speciali della Cina sudorientale e a sostenere i “metodi capitalisti” per promuoverne la crescita. Nel marzo del 1993 l’VIII Congresso nazionale del popolo elesse Jiang alla presidenza della Cina risolvendo formalmente la questione della successione dell’anziano Deng (più che mai saldamente alla guida del paese) nel quadro di una normalizzazione che riproponeva intatte le condizioni precedenti la protesta di piazza Tienanmen, facilitata anche dall’atteggiamento non certo intransigente della comunità internazionale rispetto alle violazioni dei diritti umani in Cina. Nel febbraio del 1997, la Cina ha dato il suo ultimo saluto al “Piccolo Timoniere” (soprannome che Mao aveva attribuito a Deng); il potere è nelle mani del primo ministro Jiang Zemin.